SLC Descrizione tecnica
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Sezione interattiva SLC

 

L’apparecchio era composto da 5 sezioni ben distinte fra loro:

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la testa di servizio contenente l’esplosivo;

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la testa di manovra contenente gli organi di comando;

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il corpo centrale cilindrico contenente le batterie accumulatori;

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la coda contenente gli organi di propulsione;

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l’armatura portante le eliche, i timoni orizzontali ed un timone verticale.

 

La testa di servizio era costituita da un cilindro, con l’estremità anteriore bombata, staccabile dal resto dell’apparecchio e contenente circa 230 Kg. di alto esplosivo con i relativi congegni di scoppio ad orologeria costituiti da speciali spolette meccaniche prodotte dalla Borletti di Milano.

La testa contenente la carica era fissata alla testa di manovra con una braga mobile circolare. Negli ultimi modelli di SLC la braga venne eliminata e sostituita da un perno centrale a vite che attraversava longitudinalmente la testa stessa e che poteva essere bloccato o sbloccato agendo su di una grossa "farfalla" posta all’estremità anteriore.

Il collegamento al bersaglio avveniva mediante sospensione ad un cavo della testa sotto la carena del bersaglio utilizzando un golfare detto appunto di sospensione collocato sulla verticale del baricentro della testata stessa.

Vennero successivamente adottate anche teste cosiddette "multiple" costituite cioè da due cilindri accoppiati in senso longitudinale e contenenti ciascuno circa 125 Kg. di alto esplosivo. Le due cariche erano staccabili ed ognuna era dotata di congegni di scoppio, di maniglione di sospensione e di braga mobile di collegamento.

 La testa di manovra, avente forme arrotondate per facilitare la navigazione del mezzo dopo che la testa di servizio fosse stata staccata, conteneva la cassa d’assetto prodiera ed il complesso dei comandi per il controllo dell’apparato di propulsione e terminava con una paratia stagna concava collegata al corpo centrale mediante una doppia ghiera a 32 viti – tipo siluro.

Proseguendo verso poppa, si incontrava il corpo centrale, chiuso anteriormente e posteriormente da due paratie stagne verticali, contenente le batterie di accumulatori.

La batteria di accumulatori era composta di 30 elementi ed erogava circa 150 Ampere (poi portati a 180) a 60 Volts, consentendo una velocità massima subacquea di circa 3 nodi e un’autonomia teorica di circa 15 miglia alla velocità economica di 2,3 nodi.

Continuando verso poppa, troviamo il motore elettrico, di potenza pari a 1,1 HP (poi incrementata a 1,6 HP) e la cassa d’assetto poppiera, avente capacità di circa 46 litri, e la relativa pompa elettrica.

L’asse del motore, che passava attraverso tale cassa in un apposito cilindro stagno, era collegato quindi con un gruppo; successivamente tale gruppo fu sostituito da un riduttore di giri appositamente realizzato: il relativo giunto si rilevò tuttavia molto delicato ed inaffidabile e spesso, anche in azione, se ne dovette registrare la rottura.

Tra il riduttore e l’elica era inserito un cuscinetto reggispinta.

In un primo tempo vennero adottate due eliche coassiali controrotanti, caratteristiche dei siluri, ma, successivamente, vennero eliminate a favore di un’unica elica quadripala, destrorsa e di maggiori dimensioni, più adatta alle basse velocità dell’apparecchio e meno rumorosa.

Alla parte posteriore della coda era fissata l’armatura, che comprendeva una specie di gabbia conica per la protezione dell’elica (per evitare che si impigliasse in reti o cavi) e gli attacchi dei timoni verticali ed orizzontali. Questi ultimi si trovavano a poppavia dell’elica ed erano collegati ai relativi comandi a mezzo di un sistema di pulegge di rimando e di cavetti d’acciaio.

I timoni, sia quelli orizzontali (di profondità) che quello verticale (di direzione) vennero opportunamente sovradimensionati per le caratteristiche di velocità dell’apparecchio.

 

I due operatori destinati alla condotta del mezzo sedevano "in tandem" ovvero l’uno dietro all’altro, a cavalcioni dell’apparecchio.

Inizialmente gli operatori tenevano le gambe penzoloni lungo i fianchi del mezzo, sui quali vennero poi saldate delle staffe d’appoggio.

Sopra il corpo cilindrico, in corrispondenza della testa di manovra, per primo, troviamo il frangionde, in lamierino metallico liscio e con nervature orizzontali di rinforzo; dietro era ricavato il posto del I° operatore cui era affidato il compito di pilotare il mezzo, dotato di cruscotto. Quest’ultimo era costituito da un pannello, detto anche cassetta strumenti, chiuso da una cornice metallica cui era sovrapposta una spessa lastra di celluloide dotata di una guarnizione di tenuta in gomma e fissata da una serie di viti periferiche.

Gli strumenti erano costituiti da: un profondimetro (con scala sino a 30 metri), una bussola magnetica tipo "Lazzarini", un orologio, un voltmetro per il controllo della tensione delle batterie, due ampérometri, uno per le batterie e l’altro per il controllo dell’assorbimento delle pompe di esaurimento e travaso delle casse d’assetto ed una livella a bolla d’aria per il controllo dell’assetto longitudinale, tutti con quadranti fosforescenti al "Radiomir".

La regolazione della velocità avveniva mediante la rotazione in senso orario di un volantino calettato su di un reostato: ad ogni scatto – dalla 1a alla 4a tacca – il numero dei giri del motore variava in misura crescente. Negli ultimi modelli di SLC costruiti venne inserita anche una 5a tacca per la massima velocità.

Ruotando il volantino in senso antiorario era possibile invertite il moto dell’elica per la marcia indietro.

I timoni verticali erano comandati da un volantino la cui rotazione, mediante cavetti metallici, dirigeva i movimenti del timone e quindi le variazioni di rotta. Il volantino era montato su di una barra verticale mobile longitudinalmente che agiva, come la cloche di un aereo, sui timoni orizzontali, consentendo il governo in quota dell’apparecchio. Accanto al volantino per la regolazione della velocità del motore era sistemata una "manetta" (con relativa valvola di spurgo) che comandava un rubinetto a 4 vie per consentire l’intercettazione e l’apertura delle tubature collegate alle pompe di servizio delle casse d’assetto, tubature che correvano esternamente al corpo centrale.

Tra il sedile sagomato (prima in legno e poi in metallo traforato) del "primo" e del "secondo" operatore esisteva la struttura contenente la cassa della "rapida" e le relative bombole di aria compressa, cui era fissata una maniglia orizzontale da usarsi come "tientibene" da parte del II° operatore.

Detta cassa di zavorra era esauribile mediante l’immissione, controllata da apposito rubinetto, di aria compressa a 200 atmosfere contenuta nelle due bombole sistemate alla base della cassa stessa.

Alla sommità della cassa era sistemata una valvola di sfogo che terminava con un corto tubo corrugato in gomma. Il comando di apertura della valvola era costituito da una leva sistemata sul lato sinistro della cassa stessa.

Veniva quindi il posto del "secondo" alle cui spalle, sopra la parte anteriore della coda, era sistemato in origine il blocco di legno di balsa sagomato, la cui spinta positiva serviva per equilibrare in parte il peso del sottostante motore elettrico di propulsione. Tale blocco di legno venne successivamente eliminato e non apparve più nelle ultime serie di SLC.

L’ultimo elemento verso poppa, posto al di sopra della coda, era una leggera struttura in angolari metallici, a libera circolazione d’acqua, destinata a contenere alcuni materiali ed attrezzature speciali in dotazione ("alzareti", "tagliareti", cesoie, "sergenti", cavi, "ascensore", ecc.) nonché piccoli recipienti stagni (tra cui un tubo portaviveri) ed un autorespiratore di riserva, di autonomia però ridotta rispetto a quelli normali in dotazione ai due operatori.

In particolare:

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l’"alzareti": inizialmente non era altro che un paranchetto, costituito da cavi e bozzelli, che veniva usato per sollevare l’"imbando" delle reti, che normalmente si trovava sul fondo, di quel tanto necessario da poter consentire il passaggio al di sotto dell’apparecchio. Successivamente fu sostituito da un’apparecchiatura più potente mossa ad aria compressa (progetto e costruzione C.A.B.I.);

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il "tagliareti": in origine era rappresentato da grosse cesoie azionate a mano, con grosse manopole di legno, che vennero in seguito sostituite da un attrezzo ad aria compressa di maggior potenza (progetto e costruzione C.A.B.I.);

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i "sergenti": erano gli speciali morsetti a vite da fissare strettamente alle alette di rollio del bersaglio ed ai quali veniva collegata la sagola di sospensione della testa carica sotto la carena;

Fase di fissaggio dei sergenti secondo il pittore Rudolf Claudus

 
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l’"ascensore": era il nome piuttosto pittoresco di un semplice cavetto, avvolto su di una tavoletta di legno, poi su di una bobina a rullo che - fissato con un capo all’apparecchio e srotolato da uno degli operatori durante la risalita in superficie per eventuali osservazioni in vicinanza del bersaglio o nelle manovre di fissaggio della testa carica – era utilizzato per ritrovare il mezzo fermo sul fondo nella più completa oscurità.

 

Per le manovre di sollevamento del mezzo, sulla parte superiore del corpo centrale ed all’incirca in corrispondenza dei sedili degli operatori, erano saldati due grossi golfari cui venivano collegati i cavi di sollevamento.

 

I primi undici apparecchi (1° e 2° prototipo del 1935-36, una prima serie di 4 semoventi ordinata nell’aprile 1936 ed una seconda serie di 5 ordinata nel 1939) risultavano identificati secondo una numerazione progressiva da 1 ad 11.

Una successiva serie, probabilmente di 8 SLC di caratteristiche migliorate, ordinata nell’estate del 1940, risulterebbe invece contraddistinta da una numerazione appartenente alla serie "100": pertanto gli esemplari dal 12° al 19° risulterebbero identificati con in numeri 120, 130, 140 ecc. ovvero con l’aggiunta di uno zero dopo il numero progressivo.

All’ultima serie di SLC, costruiti dopo l’inizio del 1941, risulterebbe sia stata invece assegnata una numerazione appartenente alla serie "200", ovvero facendo precedere il numero progressivo di costruzione (dal 20° esemplare in poi) da un "2": 220, 221, ecc.

 

Gli autorespiratori

L'equipaggio degli SLC dovette essere munito di autorespiratori autonomi. Per evitare che le bolle d'aria, salendo in superficie, svelassero la presenza del mezzo subacqueo, vennero utilizzati speciali apparecchi a circuito chiuso (prodotti espressamente dalla Pirelli) alimentati con ossigeno. L'uso dell'ossigeno, infatti, non comporta il rilascio dell’aria in espirazione, perché il gas si purifica dell'anidride carbonica emessa dalla respirazione attraverso un filtro di calce sodata; quindi può essere riutilizzato per la respirazione in un circolo chiuso che si esaurisce solo quando la calce sodata, divenuta satura, non è più in grado di purificare l'ossigeno.

I malori riscontrati agli operatori dei mezzi d'assalto furono soprattutto quelli di avvelenamento per respirazione di ossigeno oltre i 15 metri di profondità: la respirazione di tal gas oltre tale limite comporta infatti rischi per l’organismo umano; le avarie ed i comportamento anomali dei "maiali" e le necessità di sfuggire alle prevenzioni avversarie portavano spesso gli operatori a superare questa quota limite ben consapevoli dei rischi che tali azioni comportavano.