Attacco al Forte di Eben Emael
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Storia del forte

La costruzione di una fortezza al confine olandese sul canale Alberto tra Liegi e Maastricht fu presentata per la prima volta nel 1887 quando il generale Henri Alexis Brialmont la consigliò al governo belga.

Non fu fatto nulla fino al 1932, quando, dopo l’esperienza della I Guerra Mondiale, il Belgio decise di rafforzare la propria difesa. L’opera fu completata nel 1935 ed era considerata “inespugnabile” in quanto conteneva tutte le migliori tecnologie delle fortificazioni fisse moderne maturate nella costruzione della Linea Maginot in Francia. Anche il comandante in capo francese, generale Gamelin, contava sul forte di Eben-Emael. Il forte faceva parte del semicerchio esterno attorno alla città di Liegi, che disponeva di 8 forti in una cerchia ristretta per difendere la città: originariamente aveva 12 forti, ma 4 forti furono completamente distrutti durante la I Guerra Mondiale (1914-1918).

 

Descrizione del forte.

Scavato in una collina calcarea, possedeva forma romboidale non omogenea (larghezza circa 800 metri, altezza circa 900 metri) avente una superficie di 26 ettari.

La fronte nord-est costeggiava il canale Alberto, dove questo piega verso sud affiancando il corso della Mosa; che, con le sue pareti a strapiombo, costituiva un ostacolo invalicabile; a sud venne invece scavato un fossato anticarro lungo 450 m e largo 10 m, anch'esso allagabile in caso di pericolo. Tutto il perimetro era poi protetto da un ulteriore fossato anticarro largo 10 m e profondo 4 m, filo spinato e ostacoli anticarro in acciaio.

Il forte disponeva di due livelli interrati:

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Livello 0: (45 m sotto il piano del terreno) ove era ubicata la caserma che poteva ospitare fino a 1.200 soldati;

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Livello 1: (25 m sotto il piano del terreno) con un sistema di tunnel che si estendeva per 5 km che collegava tra loro tutte le opere della fortezza.

Al piano terreno affioravano solo i bunker in calcestruzzo e le cupole d'acciaio. Queste opere erano collegate al primo livello tramite scale con altezza comprese tra 18 e 24 metri a seconda della posizione sulla sovrastruttura.

Il collegamento tra il livello 0 e il livello 1 è costituito da due scale e un ascensore.

Il forte disponeva di postazioni fortificate in calcestruzzo e torrette di artiglieria in cupole corazzate di acciaio.

Difesa perimetrale

Il Blocco 1 si trovava nell'angolo sud-occidentale della fortezza e costituiva l'ingresso sbarrato da un pesante cancello a cui si accedeva dopo essere passati su un ponte levatoio di legno sopra un fosso profondo 4 m. L'armamento difensivo era costituito da tre mitragliatrici e due cannoni da 60 mm. La cupola della casamatta fungeva da postazione di osservazione.

Circa 200 m a nord del Blocco 1 c'era il Blocco 2, sul fianco occidentale del forte. Anche qui l'armamento consisteva in due mitragliatrici e due cannoni.

Benché pianificato, non venne mai costruito nessun Blocco 3 ma vennero edificate lungo la riva del Canale Alberto due strutture, Canal Nord e Canal Sud, alte ognuna due piani, distanti 800 m l'una dall'altra e perciò in grado di supportarsi a vicenda, armate ciascuna di un cannone da 60 mm e rispettivamente due e tre mitragliatrici. Disponevano di cupola per l'osservazione e un cannone per proietti illuminanti.

Il Blocco 4 era situato nel lato sud-orientale e, oltre alla solita cupola per l'osservazione, disponeva di due cannoni di 60 mm e due mitragliatrici; nell'angolo sud-orientale si trovava invece il Blocco 5, armato con un cannone da 60 mm e due mitragliatrici. Diversamente dagli altri blocchi, questo disponeva di una cupola armata con due cannoni da 75 mm (Cupola Sud).

Il sesto e ultimo blocco poteva tenere sotto tiro solamente il terreno verso il Blocco 1 e disponeva due mitragliatrici.

Tutte le opere disponevano di fari per illuminare adeguatamente il terreno circostante e feritoie per il lancio di granate all’esterno.

Batterie di artiglieria

Maastricht 1 e Maastricht 2 erano la denominazione di due casematte, ognuna con tre cannoni da 75 mm; Maastricht 2 disponeva anche di una cupola corazzata per l'osservazione; i cannoni delle opere erano destinati a difendere i tre ponti sul canale Alberto che collegavano il Belgio alla città olandese di Maastricht. Due simili casematte erano destinate a colpire obiettivi verso la città di Visé con i suoi ponti sulla Mosa. Erano chiamate Visé 1 e Visé 2.

I cannoni erano posizionati nel piano superiore assieme alle postazioni per gli addetti al controllo del tiro; al piano inferiore trovavano posto le munizioni con relativo sistema di trasporto al piano superiore. I muri di calcestruzzo spessi quasi 2,50 m rendevano queste installazioni impenetrabili a qualsiasi bomba aerea e a colpi d'artiglieria di calibro fino a 22 cm.

Oltre a queste postazioni concepite per colpire esclusivamente i ponti a nord e a sud del forte, ve ne erano delle altre per neutralizzare obiettivi d'opportunità. Erano cupole corazzate a scomparsa armate con due cannoni da 75 mm, note come Cupola Nord e Cupola Sud - quest'ultima localizzata sulla sommità del Blocco 5 - e come Cupola 120 in quanto armata con due cannoni da 120 mm. Entrambe le cupole erano attrezzate per resistere ai gas, potevano ruotare di 360° e per sparare si alzavano di 55 cm dal terreno, tornando a "scomparire" una volta finita la missione di fuoco grazie a un motore elettrico o a un sistema manuale in caso di guasto. La cupola aveva una corazza d’acciaio spessa 20 cm, pesava 6.700 kg, era alta 150 cm e aveva un diametro interno di 80 cm.

Per neutralizzare eventuali intrusioni all’interno del forte, erano state infine realizzate due postazioni denominate Mi-Nord e Mi-Sud (da mitrailleuse), armate con postazioni per mitragliatrici. Mi-Nord, nella porzione nord-ovest di Eben-Emael, poteva coprire tutto il terreno verso sud ed era dotata di una cupola corazzata per l'osservazione, Mi-Sud era identica ma non disponeva di cupola osservatorio.

Nell’angolo Nord del forte erano state anche installate due finte cupole per ingannare gli eventuali assalitori che non disponevano di alcun armamento.

 

Il piano tedesco

Il compito della 6ª Armata tedesca (generale von Reichenau) era quello di attraversare rapidamente il fiume Mosa e sfondare il più presto possibile le linee di difesa belghe.

I primi obiettivi del piano erano:

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catturare intatti i 3 ponti sulla Mosa a Maastricht;

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mantenere intatti i ponti di Veldwezelt, Vroenhoven e Kanne e rendere inoffensivo il forte di Eben-Emael

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formazione e ampliamento delle teste di ponte a Veldwezelt, Vroenhoven e Kanne

I ponti di Veldwezelt, Vroenhoven e Kanne e il forte di Eben-Emeal erano gli obiettivi dello Sturmabteilung Koch della 7a Divisione Flieger.

Alle restanti forze dell’Esercito veniva richiesto di puntare rapidamente in profondità per occupare i ponti conquistati e procedere all’interno del paese.

I ponti di Maastricht furono fatti saltare dall'esercito olandese intorno alle 0700 e ritardarono le forze di terra in quella zona per più di 20 ore. I ponti di Veldwezelt e Vroenhoven furono presi intatti dagli uomini della Stahl e della Beton. Il ponte di Kanne fu fatto saltare e gli uomini dell'Eisen ebbero un duro scontro con i granatieri belgi che erano posizionati a difesa del ponte. Il 51 Pioneer-Battaillon non poteva attraversare il canale per dare il cambio agli uomini a Fort Eben-Emael. Tentarono di attraversare con i gommoni, ma finirono sotto il forte fuoco della casamatta Canale Nord del forte.

 

L’attacco al forte di Eben-Emael

Il segnale del decollo lampeggiò nell'oscurità e il suono dei motori aeronautici si trasformò in un ruggito mentre i primi tre Ju52 cominciarono a muoversi attraverso l'aerodromo. Lo fecero più lentamente del solito, poiché ciascuno trascinava un pesante fardello: un secondo aereo senza motore: un aliante!

Quando la fune di traino si tese, quest'ultima scattò in avanti e sobbalzò sempre più velocemente lungo la pista. Poi, non appena il rimorchiatore si staccò da terra, il pilota dell'aliante tirò con cautela la barra verso di sé, e il rombo del suo carrello si fece improvvisamente silenzioso. Pochi secondi dopo, l'aliante scivolava silenziosamente sopra siepi e recinzioni e guadagnava quota dietro il suo Ju52. Il difficile decollo trainato era stato compiuto.

Erano le 0430 del 10 maggio 1940. Dai due aeroporti di Colonia, Ostheim sulla riva destra del Reno, Butzweilerhof a sinistra, decollavano a intervalli di trenta secondi sezioni di tre Ju52, ciascuna trainando un aliante. Dopo aver preso quota, virarono verso un punto sopra la cintura verde a sud della città, per infilarsi in una fila di luci che si estendeva verso Aquisgrana. Nel giro di pochi minuti quarantuno Ju52 e quarantuno alianti erano in viaggio.

Il dado era stato tratto per una delle imprese più audaci negli annali di guerra: l'assalto alla fortezza di frontiera belga di Eben Emael ed ai tre ponti a nord-ovest che attraversano il profondo Canale Alberto, i punti chiave del sistema di difesa a est della frontiera belga.

In ciascuno dei quarantuno alianti una squadra di paracadutisti sedeva a cavalcioni della trave centrale. A seconda del compito assegnato loro variavano da otto a dodici, dotati di armi ed esplosivi. Ogni soldato sapeva esattamente quale fosse il suo compito una volta raggiunto l'obiettivo.

Appartenevano al Distaccamento d'assalto Koch. Da quando questa unità aveva raggiunto la sua base di addestramento a Hildesheim, era stata ermeticamente isolata dal mondo esterno. Non erano stati concessi permessi, licenze o esenzioni, la loro posta era severamente censurata, era proibito parlare con membri di altre unità.

L'operazione veniva provata dal novembre 1939. Il successo, e quindi la vita dei paracadutisti, dipendeva dal fatto che l'avversario non avesse la minima idea della sua imminenza. La segretezza era portata così lontano che, sebbene gli uomini conoscessero a memoria i dettagli dei reciproci ruoli, scoprirono i rispettivi nomi solo quando tutto fu finito.

Alla teoria succedevano esercizi pratici di giorno, di notte e con ogni tipo di tempo.

"Abbiamo sviluppato un sano rispetto per ciò che ci aspettava" riferì il tenente Rudolf Witzig, capo dei paracadutisti che avrebbe dovuto affrontare le fortificazioni di Eben Emael. “Ma dopo un po’ la nostra fiducia raggiunse il punto in cui noi, gli attaccanti, credevamo che la nostra posizione all’esterno fosse più sicura di quella dei difensori all’interno”.

Alle 0435 tutti i quarantuno Ju52 erano in volo. Nonostante l'oscurità e gli alianti carichi dietro di loro, non c'era stato un solo intoppo.

Il capitano Koch aveva diviso la sua forza d'assalto in quattro distaccamenti, come segue:

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"Granit" al comando del tenente Witzig, ottantacinque uomini con armi leggere e due tonnellate e mezzo di esplosivo si imbarcarono su undici alianti. Obiettivo: la fortezza di Eben Emael. Missione: mettere fuori combattimento gli elementi esterni e resistere finché non verrà sostituito dal 51 battaglione dei genieri dell'esercito.

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“Beton” sotto il tenente Schacht. Novantasei uomini e personale di comando si imbarcarono su undici alianti. Obiettivo: il ponte in cemento sul Canale Alberto a Vroenhoven. Missione: impedire che il ponte venga fatto saltare, formare e proteggere le teste di ponte in attesa dell'arrivo delle truppe dell'esercito.

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“Stahl” sotto il tenente Altmann. Novantadue uomini si imbarcarono su nove alianti. Obiettivo: il ponte d'acciaio di Veldwezelt, 4 miglia a nord-ovest di Eben Emael. Missione: come “Beton”.

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“Eisen” sotto il tenente Schächter. Novanta uomini si imbarcarono su dieci alianti. Obiettivo: il ponte a Kanne. Missione: sempre come per “Beton”.

Fu regolarmente stabilito l'appuntamento tra i due gruppi di aerei e tutti presero la rotta verso ovest, seguendo la linea dei fari. Il primo era un incendio acceso a un incrocio vicino a Efferen, il secondo un faro tre miglia più avanti, a Frechen. Quando l'aereo si avvicinava a un faro, il successivo diventava visibile davanti a sé. La navigazione, nonostante la notte buia, non fu quindi un problema almeno fino al punto di sgancio prestabilito.

Per un aereo, quello che trainava l’ultimo aliante del distaccamento “Granit”, però le cose andarono storte mentre si trovava ancora a sud di Colonia.

Poco più avanti e a dritta il suo pilota notò improvvisamente le fiamme blu di scarico di un altro velivolo in rotta di collisione. C'era solo una cosa da fare: spingere il suo Ju52 in picchiata. Ma ovviamente aveva un aliante al seguito! Il pilota di quest'ultimo, il caporale Pilz, cercò freneticamente di compensare lo sforzo, ma in pochi secondi la sua cabina di pilotaggio fu sferzata come da una frusta quando il cavo di traino si spezzò. Non appena Pilz si ritirò dalla picchiata, il rumore dell'aereo madre si spense rapidamente e all'improvviso tutto fu stranamente silenzioso.

I sette occupanti poi tornarono a Colonia, uno di loro era proprio l'uomo che avrebbe dovuto guidare l'assalto alla fortezza di Eben Emael, il tenente Witzig. Pilz riuscì appena a superare il Reno, poi adagiò dolcemente l'aliante su un prato. E adesso?

Scendendo, Witzig ordinò subito ai suoi uomini di trasformare il prato in una pista di atterraggio eliminando tutte le recinzioni e gli altri ostacoli. "Cercherò di procurarmi un altro aereo da traino" disse.

Correndo verso la strada più vicina fermò un'auto e nel giro di venti minuti fu di nuovo all'aeroporto di Ostheim. Ma non rimaneva sul campo nemmeno un Ju52. Doveva prendere il telefono e chiederne uno a Gutersloh. Ci vorrebbe voluto troppo tempo. Guardando l'orologio vide che erano le 0505. Entro venti minuti il suo distaccamento sarebbe atterrato sull'altopiano della fortezza. Nel frattempo gli squadroni Ju52, con i loro alianti al seguito, ronzavano verso ovest, salendo costantemente. Ogni dettaglio del loro volo era stato elaborato in anticipo. La linea di fari fino alla frontiera tedesca ad Aquisgrana era lunga quarantacinque miglia. A quel punto era previsto che l'aereo raggiungesse un'altezza di 8.500 piedi: un volo di trentuno minuti, supponendo che il vento fosse stato stimato correttamente.

Accovacciati nei loro alianti, gli uomini del distaccamento “Granit” non avevano idea che il loro comandante fosse già uscito dal gruppo. Ogni sezione, però, aveva il suo compito speciale da svolgere, e ogni pilota di aliante sapeva esattamente in quale punto dell'altopiano allungato doveva atterrare: dietro quale postazione, accanto a quale torretta, entro un margine di dieci o venti metri.

Sarebbe stata infatti una cattiva pianificazione se non fosse stata prevista la perdita di singoli alianti. Di fatto, gli ordini di ciascun caposezione includevano indicazioni su quali compiti aggiuntivi la sua squadra avrebbe dovuto svolgere nel caso in cui le sezioni vicine non fossero riuscite ad atterrare.

Ma l'aliante di Witzig non era stato l'unico ad avere inconvenienti; una ventina di minuti dopo, l’aliante che trasportava la sezione n. 2, appena superato il faro di Luchenberg, vide lo Ju52 davanti a sé scuotere le ali. Il pilota dell'aliante, il caporale Brendenbeck, pensò si trattasse del segnale di sganciarsi! Pochi secondi dopo l'aliante lo aveva fatto, tutto grazie a uno stupido malinteso. Era solo a metà strada verso il suo obiettivo e con un'altitudine inferiore a 5.000 piedi non c'era più speranza di raggiungere la frontiera.

L'aliante atterrò in un campo vicino a Düren. Balzando fuori, i suoi uomini requisirono delle automobili e alle prime luci del giorno si precipitarono verso la frontiera, che in quel momento l'esercito avrebbe dovuto attraversare.

Ciò lasciò “Granit” con solo nove alianti ancora in volo. Prima del previsto, il faro che segnava la fine della linea di fari apparve davanti a loro. Situato sul Vetschauer Berg a nord-ovest di Aachen-Laurensberg, segnava anche il punto in cui gli alianti dovevano sganciarsi. Dopodiché avrebbero raggiunto il saliente di Maastricht in planata, il loro avvicinamento non era disturbato dal rumore dei motori degli aerei da traino.

Ma in realtà erano in anticipo di dieci minuti. Il vento successivo si era rivelato più forte del previsto e per questo motivo non avevano raggiunto l'altezza prestabilita di 8.500 piedi, che avrebbe permesso loro di volare direttamente sul bersaglio con un angolo di planata corretto. Adesso erano circa 1.500 piedi troppo in basso. Il tenente Schacht, capo del distaccamento “Beton”, scrisse nel suo rapporto sulle operazioni: “Per qualche ragione sconosciuta lo squadrone di rimorchio ci ha portato oltre il territorio olandese. Solo quando eravamo a un certo punto tra la frontiera e Maastricht ci siamo sganciati”.

Erano appena passate le 0500, quasi mezz'ora prima che iniziasse l'offensiva principale di Hitler contro l'Occidente. Anche se in anticipo di otto-dieci minuti, a causa del vento, gli alianti ebbero bisogno, in effetti, di altri dodici-quattordici minuti per essere portati sopra l'obiettivo. Cinque minuti prima dell'ora zero questi silenziosi rapaci dovevano piombare tra i fortini dei ponti del Canale e della fortezza... prima che venisse sparato qualsiasi altro colpo. Ma ora l’elemento sorpresa sembrava essere andato perduto.

Alla fine gli alianti furono liberati e il rumore degli aerei madre si spense in lontananza. Ma la contraerea olandese era ormai all'erta e aprì il fuoco sugli alianti prima che raggiungessero Maastricht. Le palline rosse apparivano come giocattoli, tra le quali i piloti sgusciavano per evitare danni, felici di avere un'altezza sufficiente per farlo. Nessuno venne colpito, ma il segreto della loro presenza, a lungo e gelosamente custodito, venne ormai irrevocabilmente svelato.

Alle 0310 del 10 maggio il telefono da campo squillò al posto di comando del maggiore Jottrand, che era a capo delle fortificazioni di Eben-Emael. La 7a divisione di fanteria belga, che controllava il settore del Canale Alberto, ordinò un maggiore stato di allerta. Jottrand ordinò alla sua guarnigione di 1.200 uomini di recarsi alle postazioni di combattimento. Con amarezza, per l'ennesima volta, gli uomini guardarono fuori dalle torrette nella notte, aspettando ancora una volta l'avanzata tedesca.

Per due ore rimasero tutti immobili. Ma poi, allo spuntare del nuovo giorno, dalla direzione di Maastricht, in Olanda, giunse il rumore di un fuoco antiaereo concentrato. Nella posizione antiaerea dietro il Blocco 4, sul confine sud-est della fortezza, i cannonieri belgi sollevarono le proprie armi antiaeree. Erano in arrivo i bombardieri tedeschi? La fortezza era il loro obiettivo? Per quanto ascoltassero, gli uomini non riuscivano a sentire il rumore dei motori.

All'improvviso da est piombarono grandi fantasmi silenziosi. Già bassi, sembravano sul punto di atterrare: tre, sei, nove. Abbassando le canne dei fucili, i belgi lasciarono volare. Ma un attimo dopo uno dei “grandi pipistrelli” fu immediatamente sopra di loro – no, proprio in mezzo a loro!

Il caporale Lange fece atterrare il suo aliante proprio sulla posizione nemica, recidendo una mitragliatrice con un'ala e trascinandola con sé. Con uno scricchiolio lacerante l'aliante si fermò. Quando la porta si spalancò, il sergente Haug, al comando della Sezione 5, sparò una raffica con la sua pistola mitragliatrice e le bombe a mano colpirono la posizione. I belgi alzarono le mani.

Tre uomini della sezione di Haug corsero attraverso le centinaia di metri successivi verso il Blocco 5. Nel giro di un minuto tutti i nove alianti rimanenti erano atterrati nei punti designati nonostante il fuoco delle mitragliatrici provenienti da ogni direzione, e gli uomini erano balzati fuori per adempiere ai compiti loro assegnati.

L'aliante della Sezione 4 colpì violentemente il suolo a circa 100 metri dalla Mi-Nord. Notando che le feritoie delle armi erano chiuse, il sergente Wenzel corse direttamente verso di loro e lanciò una carica cava da 1 kg attraverso l'apertura del periscopio nella torretta. Le mitragliatrici belghe tuonarono ciecamente nel vuoto. Allora gli uomini di Wenzel posizionarono un’altra carica cava sulla torretta di osservazione e l'accesero. Ma la corazzatura era troppo spessa perché la carica riuscisse a penetrarla: la torretta si era semplicemente riempita di piccole crepe, come nella terra asciutta. Alla fine fecero saltare l'ingresso attraverso le feritoie, trovando tutte le armi distrutte e gli artiglieri morti.

Ottanta metri più a nord, le sezioni 6 e 7 dei i caporali Harlos e Heinemann si diressero verso i loro obiettivi che si ritenevano due cupole corazzate. Solo quando le ebbero raggiunte si accorsero che le due cupole, che tali dovevano essere secondo le foto della ricognizione aerea, semplicemente non esistevano ma erano false posizioni di stagno. Queste sezioni sarebbero state molto più utili più a sud. Lì si era scatenato l'inferno; vicino alla Cupola 120, da un vecchio capannone per gli attrezzi usato come alloggio, i belgi al suo interno si dimostrarono all'altezza della situazione meglio di quelli nei bunker, colpendo i tedeschi tutt'intorno con il fuoco delle mitragliatrici. Una delle vittime fu il caporale Unger, capo della Sezione 8, che aveva già fatto saltare in aria la cupola a doppio cannone della Cupola Nord.

Le sezioni 1 e 3, guidate dai sottufficiali Niedermeier e Arendt, misero fuori combattimento i sei cannoni dell'artiglieria delle postazioni Maastricht 1 e 2. Dopo dieci minuti dall'atterraggio del distaccamento “Granit” dieci posizioni erano state distrutte o gravemente paralizzate. Ma sebbene la fortezza avesse perso gran parte della sua artiglieria, non era ancora caduta. I fortini erano incastonati in profondità nei muri di cinta e dall'alto non era possibile raggiungere i tagli. Considerando correttamente che sull'intero altopiano c'erano solo una settantina di tedeschi, il comandante belga, il maggiore Jottrand, ordinò alle batterie di artiglieria del forte Pontisse (1.000 granate da 105 mm) e del forte Barchon (40 granate da 150 mm) adiacenti di aprire il fuoco sul suo forte.

Di conseguenza i tedeschi dovettero cercare riparo nelle posizioni che avevano già sottomesso. Passati alla difesa, dovettero resistere fino all'arrivo dell'esercito tedesco. Alle 0830 si è verificò un evento inaspettato quando un altro aliante scese rapidamente in picchiata ed atterrò violentemente presso la posizione Mi-Nord, dove il sergente Wenzel aveva allestito il posto di comando del distaccamento. Balzò fuori il tenente Witzig. Lo Ju52 sostitutivo da lui ordinato era riuscito a trainare il suo aliante fuori dal prato vicino a Colonia e ora poteva, tardivamente, prendere il comando.

C'era ancora molto da fare. Recuperando le scorte di esplosivo dai contenitori ora sganciati dagli Heinkel 111, gli uomini si rivolsero nuovamente alle posizioni che in precedenza non erano state completamente messe a tacere. Le cariche cave da 1 kg ora fecero a pezzi i fortini. I genieri penetrarono in profondità nelle posizioni e fecero saltare in aria le porte di acciaio che interrompevano i tunnel di collegamento. Altri cercarono di raggiungere la posizione Canale Nord, situata nel muro di 120 piedi che dominava il canale, sospendendo le cariche su corde.

Nel frattempo le ore passavano, mentre il distaccamento attendeva invano i soccorsi dell'esercito, il 51 battaglione genieri. Witzig era in contatto radio sia con il comandante del battaglione, il tenente colonnello Mikosch, sia con il suo comandante, il capitano Koch alla testa di ponte di Vroenhoven. Mikosch poteva fare solo lenti progressi; il nemico aveva fatto saltare con successo i ponti di Maastricht e anche quello sul Canale Alberto a Kanne, il collegamento diretto tra Maastricht ed Eben Emael. Era crollato proprio nel momento in cui gli alianti del distaccamento “Eisen” si avvicinavano all'atterraggio.

D'altra parte gli sbarchi a Vroenhoven e Veldwezelt erano riusciti ed entrambi i ponti erano intatti nelle mani dei reparti "Beton" e "Stahl". Per tutto il giorno tutte e tre le teste di ponte furono sotto il pesante fuoco belga. Ma resistettero, anche grazie al fuoco di copertura delle batterie da 88 mm del battaglione antiproiettile «Aldinger» e ai continui attacchi dei vecchi Henschel Hs123 del II/LG 2 e Ju87 del StG 2.

Nel corso del pomeriggio questi tre distaccamenti furono finalmente sostituiti da elementi avanzati dell'esercito tedesco. Solo il “Granit” a Eben Emael doveva resistere per tutta la notte. Il mattino successivo alle 0700 una squadra d'assalto del battaglione del genio si era fatta strada e fu accolta con grande giubilo. A mezzogiorno furono assaltate le rimanenti postazioni fortificate, poi alle 13,15 le note di una tromba si levarono sopra il frastuono. Proveniva dal Blocco 1 presso il cancello d'ingresso a ovest. Apparve un ufficiale con una bandiera bianca: il comandante, il maggiore Jottrand, desiderava ora arrendersi.

Eben Emael era caduto. I soldati belgi emersero alla luce del sole dai cunicoli e si arresero. Nelle posizioni di superficie avevano perso ventiquattro uomini e avuto 62 feriti. Le vittime del distaccamento “Granit” ammontarono a sei morti e quindici feriti.

 

Resta una storia da raccontare. Gli Ju52, dopo aver abbandonato gli alianti del “Distaccamento d'assalto Koch”, tornarono in Germania e depositarono i cavi di traino in un punto di raccolta prestabilito. Poi si diressero ancora una volta verso ovest per compiere la loro seconda missione. Passando in alto sopra il campo di battaglia di Eben-Emael volarono in profondità nel Belgio. Poi, scesero venticinque miglia a ovest del Canale Alberto. Le loro porte si aprirono e 200 funghi bianchi scesero dal cielo. Non appena raggiunsero il suolo, si udì il rumore della battaglia. Nel bene e nel male i belgi si erano rivolti per affrontare il nuovo nemico alle loro spalle.

Ma per una volta i tedeschi non attaccarono. Quando li raggiunsero i belgi ne scoprirono il motivo: i “paracadutisti” giacevano ancora impigliati nei loro paracaduti. Non erano affatto uomini, ma manichini di paglia in uniforme tedesca armati di cariche esplosive autoinfiammabili per imitare il rumore degli spari. Essendo un'incursione esca, ebbe sicuramente contribuito alla confusione del nemico.