Gli Alpini e Casa Savoia
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“Dall’Alpe Giulia a Trento

il Tricolore ondeggia;

e la canzon del vento – lassù –

è una canzon Sabauda”

(dall’ Inno del 10° Reggimento Alpini)

 

L’abrogazione della XIII disposizione transitoria della Costituzione, decisa a larga maggioranza dal Parlamento, ha riacceso il dibattito sulle vicende storiche della dinastia sabauda, che ha regnato in Italia dal 1861 al 1946.

I Savoia hanno intrecciato, per quasi un secolo, la loro storia familiare con quella della nostra nazione. Ed era pertanto inevitabile che anche la storia degli Alpini fosse segnata dalla loro presenza.

Fu infatti Vittorio Emanuele II, nel 1872, a firmare sotto il sole di Napoli il decreto che segnava la nascita degli Alpini.

Del primo Re d’Italia si trova traccia anche in una celebre canzone (“E tu Austria che sei la più forte”),poiché una delle strofe contiene la frase “Viva Tojo nostro sovran”.

Quel “Tojo” era Vittorio Emanuele II, così chiamato con familiarità affettuosa dagli Alpini valdostani e piemontesi . Probabilmente il primo Re d’Italia, amante della montagna e della caccia (oltre che delle bellezze femminili), risultava simpatico ai nostri predecessori con la penna, che ne apprezzavano il carattere schietto e la scarsa propensione ai formalismi ed alle complicate usanze di corte, che il “Re Galantuomo” ridusse all’essenziale.

Inoltre, sempre in tema di canzoni – ma spostandoci avanti nel tempo – ricordiamo che nel “Testamento del Capitano” il primo pezzo era destinato al Re d’Italia. Poi, dopo il referendum istituzionale del 1946, qualcuno ha cercato di “purgare” la strofa che ricordava i Savoia…

Successore di Vittorio Emanuele II fu Umberto I, che nelle feste di Mondovì (23-24 agosto 1891) passò in rivista numerosi reparti di Alpini e di Artiglieri da Montagna.

L'evento ebbe vasta eco e fu celebrato  da Giosuè Carducci  con la poesia "Bicocca di San Giacomo" (composta il 3 settembre 1891 ed inserita in "Rime e ritmi"), nella quale si possono leggere i seguenti versi: 

"Dimani, Italia, passeran da l'Alpi

prodi seimila in faccia al Re levando

l'armi e i ridenti in giovine baldanza

volti riarsi...

E a te dimani, Umberto Re, in cospetto

l'Alpi d'Italia schierano gli armati

figli a la guerra. Il popolo fidente

te guarda e loro". 

Un altro Sovrano che legò il suo nome alle penne nere fu il “Re Soldato”, Vittorio Emanuele III (figlio di Umberto I, assassinato a Monza dall'anarchico Gaetano Bresci il 29 luglio 1900), a cui si deve la nascita del 10° Reggimento Alpini (come si chiamò l’Associazione Nazionale Alpini dal 1929 al 1943).

Per invitare il Re all’adunata che coincideva con il 50° anniversario della nascita degli Alpini (Trento, 1922), il Presidente nazionale Andreoletti e Guido Larcher (che guidava la Sezione di Trento) si recarono a Roma. Durante l’udienza Andreoletti approfittò di una pausa per far notare al Sovrano che nelle sale-convegno dei nove reggimenti allora esistenti vi erano delle fotografie con la sua firma autografa. “Manderò la fotografia anche al 10° Reggimento Alpini” , rispose il Re. Così fece e così nacque il “10°”.

 Il penultimo Re d’Italia aveva una predilezione per gli Alpini .Difficilmente mancava alle cerimonie importanti e in quelle occasioni il suo carattere, severo ed introverso, si raddolciva notevolmente.

Edgardo Rossaro, ad esempio, descrivendo la sfilata che ebbe luogo a Padova, nel 1918, parla della calorosa stretta di mano, da parte del Re, al maggiore che comandava il reparto di formazione. Stretta di mano accompagnata dai complimenti per il modo perfetto con cui avevano marciato gli Alpini reduci dal Monte Grappa (1).

Ma i principi della dinastia  si esposero anche in prima linea fra le “penne nere”: non possiamo infatti dimenticare Filiberto di Savoia, Duca di Pistoia e poi di Genova “eroico comandante d’una arditissima compagnia di mitraglieri, che combatté da alpino accanto agli alpini… Capitano del Nizza Cavalleria… egli volle, con gli alpini, battersi dove ai pericoli della guerra si aggiungevano quelli della natura” (2).

L'atteggiamento della Casa Reale nei confronti delle penne nere suscitò entusiasmo nei giovani aristocratici, che si arruolarono in gran numero nelle truppe alpine e testimoniarono sovente con il sangue il loro amore per l'Italia e per la Dinastia.

Scorrendo i nomi delle penne nere decorate al valor militare - nella prima e nella seconda guerra mondiale - si trovano infatti i cognomi più illustri .Valentino Asinari di San Marzano,  Lazzaro De Castiglioni, Pietro e Amedeo Nasalli-Rocca, Lodovico Ticchioni d'Amelia, Guido Morelli di Popolo, Dionigi Ponza di San Martino, Rodolfo Avogadro di Vigliano, Federico Lantieri di Paratico, Edoardo Scroffa, Decio Quarti di Trevano, Giovan Battista Murari Della Corte Bra, Giangastone Bandini Piccolomini, Alessandro Petitti di Roreto, Angelo Francipane di Regalbosco - solo per citare qualche nome - furono tra coloro che onorarono con l'esempio eroico la nobiltà del proprio casato.  

Tornando a Vittorio Emanuele III, memorabile fu la sua presenza al campo sportivo di Udine il 20 giugno 1942.

“Alle 9 gli squilli di tromba regolamentari – scrive Aldo Rasero nel suo “Alpini della Julia” – annunciano che il Re ha fatto ingresso nel campo. I reparti  scattano contemporaneamente nel presentare le armi e sale al cielo il poderoso saluto alla voce, mentre il Re, in piedi sulla vettura, passa in rassegna le formazioni. Salito sul palco, Vittorio Emanuele III viene salutato dalle autorità, tra le quali i vecchi comandanti della “Julia” e dei suoi reggimenti…Ciascun comandante di reggimento riceve la bandiera dall’alfiere, si avvicina al palco, la inclina e il re vi appende la decorazione…mentre la folla applaude calorosamente”.

Anche Raffaele Pansini, nel suo libro “Martino e le stelle” (3) segnala la presenza di Vittorio Emanuele III alla sfilata che ebbe luogo a Torino il 27 maggio 1942 prima della partenza della “Tridentina” per il fronte russo. In quell’occasione il Re, alla stazione, volle essere circondato soltanto da Alpini e , partendo “…continuò a fissarli dal finestrino con uno sguardo fra l’attonito e il commosso mentre essi, liberi ormai da ogni schieramento, si erano messi a rincorrere il suo treno in moto,entusiasti per il privilegio ricevuto”.

Per ciò che riguarda Bologna, Giuseppe Martelli (4) ha documentato la visita di Vittorio Emanuele III nel capoluogo emiliano, avvenuta  nel 1929. In tale occasione il Sovrano, accompagnato da Angelo Manaresi (Presidente Nazionale dell’A.N.A.) passò in rassegna i rappresentanti del Consiglio Direttivo sezionale.

Il Re Vittorio Emanuele III, in visita Bologna nel 1929, saluta i membri del direttivo sezionale e stringe la mano al pluridecorato Ten. Vittorio Fabbrini (poi divenuto 1° Capitano), del Gruppo Alpini di Ferrara. Nella foto si distinguono Angelo Manaresi (Presidente Nazionale) e Dino Grandi

Sull’Appennino bolognese venne invece suo figlio, il Principe Umberto – Luogotenente Generale del Regno - il 17 aprile 1945. In tale occasione, riferisce Aldo Rasero nel già citato “Alpini della Julia”, egli “…scambia qualche parola in piemontese con gli alpini di Monte Marrone e rivolge parole di augurio e di incitamento ai giovani alpini del battaglione L’Aquila”.

Consorte di Umberto fu Maria Josè, ultima Regina d’Italia, che volle ai suoi funerali un coro degli Alpini. Ma perché Maria Josè manifestò quel desiderio  (raccolto e soddisfatto dall’ A.N.A.)?  Generica simpatia per le penne nere? Amore per la montagna e per gli sport invernali? Forse, ma esisteva un legame ben preciso fra l’ultima Regina d’Italia e l’ A.N.A. Scrive infatti Angelo Manaresi (nel suo “Quel mazzolin di fiori…”), che Maria Josè fu la “prima patronessa” del 10° Reggimento Alpini.

Annotiamo inoltre che anche l'ultimo Ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, fu una "penna nera", poiché combatté nell'artiglieria da montagna durante il primo conflitto mondiale.

Come dimenticare infine tutti gli Alpini che rifiutarono di collaborare con i Tedeschi per onorare la fedeltà al Re, solennemente proclamata il giorno del giuramento?

Emblematico è il caso di Franco Forlani, che racconta nel suo libro “La mia guerra” (5) un episodio altamente significativo, accaduto in un lager germanico (Bocholt : Stammlager VI F). Siamo nel giugno del 1944 e un gruppo di ufficiali italiani decide di far sapere con chiarezza ai Tedeschi come la pensa. Un giovane sottotenente, delegato dai commilitoni, dà l’attenti e grida “Saluto al Re!”. Subito Forlani e gli altri rispondono : “Viva il Re!”, pur sapendo che dovranno pagare duramente la loro orgogliosa manifestazione di libertà.

Proprio il giuramento di fedeltà alla Corona motivò molte scelte effettuate nel settembre del 1943. Lo stesso Carlo Azeglio Ciampi  ebbe a dichiarare che “…al fronte nessuno pensava che avremmo vinto la guerra. Ma c’era…un grande sentimento di fedeltà al nostro paese e alle stellette. Non si metteva mai in discussione la divisa…Dopo l’armistizio…era difficile scegliere…Ho tenuto fede al giuramento a Re ed alla Patria” (6).

E come passare sotto silenzio gli analoghi sentimenti di Paolo Caccia Dominioni, Conte di Sillavengo –che anche ad El Alamein non si separò dalla sua penna nera – o di Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (volontario nel 3° Reggimento Alpini allo scoppio della prima guerra mondiale) e martire alle Fosse Ardeatine?

Stemma della Scuola Centrale Militare di Alpinismo di Aosta del 1934

Non possiamo infine dimenticare i simboli militari che ancora ricordano la dinastia sabauda. Forse non tutti sanno che la nappina azzurra dei “quarti battaglioni” fu scelta di quel colore in omaggio alla famiglia reale, come la sciarpa azzurra tuttora usata dagli ufficiali. E “blu Savoia” fu la nappina assegnata alla Scuola Centrale Militare di Alpinismo, che ebbe sede ad Aosta, nonché ai reparti da essa dipendenti, fra i quali segnaliamo il Battaglione denominato “Duca degli Abruzzi” in omaggio a Luigi di Savoia, il grande esploratore che Angelo Manaresi, Presidente nazionale dell’A.N.A. , poi trasformatasi in 10° Reggimento Alpini, definì “Principe dell’Alpe”. E la nappina metallica degli ufficiali, fino al 1946 (ma la consuetudine non è venuta meno neppure ai nostri giorni, specie in Piemonte), recava al centro la croce sabauda.

“Avanti Savoia!” fu infine il grido con cui tante penne nere - come il Tenente Attilio Calvi nel 1916 o il Sottotenente Giovanni Tarchini nel 1942 (entrambi decorati di M.O.V.M. alla memoria) - si lanciarono all’assalto, rischiando la vita e trovando spesso la morte. Ricordarlo ci sembra giusto, in segno di doveroso rispetto verso chi sacrificò la vita in nome degli ideali nei quali aveva generosamente creduto.

Mario Gallotta

 

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(1) Cfr. E. Rossaro, La mia guerra gioconda, 10° Reggimento Alpini Editore, Roma, 1939. Il libro è stato ripubblicato nel 1999, lievemente modificato, dalla Casa Editrice Mursia con il titolo “Con gli Alpini in guerra sulle Dolomiti”).

 

(2) A. Patroni,La conquista dei ghiacciai, Longanesi, Milano, 1974. Il libro del pluridecorato Alfredo Patroni reca la prefazione autografa di “S.A.R. Filiberto di Savoia, Duca di Pistoia”.

 

(3) Cfr. R. Pansini, Martino e le stelle, Grafiche Zanini, Bologna, 2001.

 

(4) Cfr. G. Martelli, Gli Alpini della “Bolognese-Romagnola, Edizioni Civitas, Bologna,1997

 

(5) Cfr. F. Forlani, La mia guerra, Molinella, 2001.

 

(6) A. Padellaro, CIAMPI, diario di guerra, ne “L’Espresso” del 13/07/2000, (nn. 27-28), pag. 59