Alessandria: Marceglia-Schergat
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Ore 20.47 del 18 dicembre. Lo Scirè è nel punto prestabilito dall’ordine operativo (1,3 miglia per 356° dal fanale del molo di ponente del porto commerciale di Alessandria) e, in emersione, iniziano le operazioni per mettere a mare i tre "maiali".

Inizialmente fuoriescono dalla torretta del sommergibile gli operatori di riserva per non affaticare gli operatori nello sfilamento degli apparecchi dai contenitori cilindrici.

Tutto avviene senza intoppi e, poco dopo, le tre coppie di operatori iniziano la navigazione. In qualità di capo gruppo, De La Penne decide di compiere la navigazione in superficie ed in formazione fino alle prime ostruzioni del porto di Alessandria.

Il mare era calmo e non c’era vento. Dopo circa due ore di navigazione, i tre "maiali" giungono di fronte al faro di Ras el Tin e tenuto conto dell’anticipo sull’orario previsto, De La Penne ordina di estrarre il tubo portaviveri e fare colazione.

Poco dopo gli operatori presero contatto con le prime ostruzioni retali.

A questo punto entrò in gioco la fortuna. Tre cacciatorpediniere si avvicinarono per entrare in porto; l’ostruzione retale venne quindi aperta per consentirne il transito ed i tre "maiali" prontamente si infilarono nella scia delle siluranti britanniche, a rischio di venire travolti dal moto delle eliche e scossi dalle onde prodotte dalle navi.

Fino a questo punto l’azione era stata condotta in gruppo, ma, nella confusione per l’ingresso al porto, i tre equipaggi si persero di vista ed agirono ciascuno in solitudine.

Ora, la relazione ufficiale del Cap. G.N. Antonio Marceglia:

"... Avvisto alla distanza di circa 300 metri il mio bersaglio, la nave da battaglia "Queen Elizabeth". A un certo momento ritengo di essere sotto lo scafo della nave. Avanzo di qualche metro, ora il rumore è molto forte e faccio eseguire una ricognizione. Il palombaro Schergat mi fa segno di salire. Sono in corrispondenza con l'aletta di rollio alla quale assicuro l'apparecchio con un morsetto. Mando il palombaro all'altra aletta per eseguire il collegamento. Nella suddivisione del lavoro avevo assegnato al palombaro questa fase avendo verificato la mia scarsa capacità di mantenere l'equilibrio e la direzione sott'acqua di notte. Il primo tentativo non riesce. Schergat ritorna e gli ordino di ritentare. Dopo un certo tempo, che mi sembra enorme, ricevo finalmente il segnale: è arrivato dall'altra parte. Gli porto l'altro morsetto e assicuriamo il cavetto all'aletta di rollio di sinistra. Ritorniamo all'apparecchio; Schergat, staccata la carica, mi avverte che si sente male. La lunga respirazione in ossigeno e il lavoro a 10 metri di profondità gli hanno prodotto un inizio di avvelenamento da ossigeno con le caratteristiche scosse epilettiche.

Termino il lavoro da solo e porto la testa dell'apparecchio in corrispondenza della chiglia della nave. Sono circa le 3,25 del 19 dicembre. Riprendiamo la navigazione. Passando di prora alla nave scorgo una luce della "Valiant" puntata sull'acqua. Forse c'è qualcosa che non va per i miei compagni. Alle 4,30 tocchiamo terra, ci liberiamo delle tute che nascondiamo sotto una barca restando in divisa, indi ci avviamo in cerca di un'uscita. Stiamo per varcarla quando un arabo ci ferma. Attraversiamo uno spiazzo e finalmente raggiungiamo la strada. Dopo pochi metri siamo fermati da un soldato sudanese. Gli parlo in francese; non capisce e chiama un'altra sentinella. Alla fine ci scambiano per marinai francesi che hanno perduto la strada e ci indicano la via per l'imbarcadero.

Verso le 6 comincia ad albeggiare. Rovesciamo i polsi delle maniche per nascondere i galloni e il collo della giacca all'interno per occultare le stellette. Alle 6,05 sentiamo uno scoppio. Alle 6,40 entriamo nel bar della stazione per rifocillarci e per scaldarci. Al momento di pagare con una delle banconote da 5 sterline che ci erano state date, il cameriere dice di non conoscere la moneta. Si reca all'ufficio militare della stazione e allo sportello della biglietteria, ma nessuno vuole cambiarla. La valuta inglese già da tempo non aveva più corso in Egitto e il cambio era autorizzato solo nelle banche e previa identificazione dell'interessato. Prendo una carrozzella e passo dai vari cambiavalute e all'agenzia Cook, ma tutti rifiutano. Finalmente trovo un ambulante che mi dà 380 piastre. Pago il bar, la carrozzella e altre mance. Lo schema per il recupero degli operatori era il seguente: un sommergibile al comando del capitano di corvetta Lombardi si sarebbe trovato, nelle notti del 24 e del 26 dicembre, quindici miglia a nord della bocca del Nilo a Rosetta. Il riconoscimento sarebbe avvenuto alla voce.

Quella mattina ci stendiamo al sole ad asciugare noi e i nostri soldi. Verso mezzogiorno torniamo in città a mangiare in un ristorante a buon prezzo. Vagabondiamo un po'. Finalmente alle 15,30 prendiamo il treno per Rosetta. Un poliziotto egiziano mi ferma all'uscita della stazione. Gli racconto che siamo due marinai francesi. Lui ci domanda perché siamo senza documenti, ma alla fine si offre di portarci a mangiare e all'albergo. Ci fa spendere molto, ma per lo meno ce la caviamo.

Il giorno seguente lo stesso poliziotto viene a prenderci in albergo e usciamo con lui a passeggio. Sono sempre assillato dal bisogno di denaro e nessuno vuole le nostre sterline. Alle ore 17 del 20 dicembre siamo perquisiti da alcuni agenti. Mi trovano la tessera di ufficiale e dopo qualche minuto riescono a decifrare "R. Marina Italiana".

E’ la fine".